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Condanna assessore, l’ira del papà della 19enne: «Nessuna questione politica, non avrei mai strumentalizzato mia figlia. Lo consideravano un amico, avevo fiducia piena». L’amarezza dell’avvocato Biancamaria D’Agostino: «si colpevolizza la vittima». Sul processo: «si celebra nelle aule di giustizia, non sui media e social. Le sentenze vanno rispettate. Nessuna “fretta” nel dibattimento, ma efficienza di un procedimento»

Pubblicato in data: 17/2/2018 alle ore:09:00 • Categoria: Cronaca

«Prima che succedessero i fatti l’ho sempre considerato un amico. Mi amareggia che sia stato detto che è un fatto politico, non avrei mai strumentalizzato mia figlia per questo. E’ un’accusa grave perché non ho mai fatto politica e lo consideravano un amico altrimenti non avrei mandato mia figlia per 5 anni a ripetizione da lui. Avevo una fiducia piena».
A parlare è il papà della 19enne atripaldese vittima di molestie che sono costate una condanna a due anni per violenza sessuale all’assessore atripaldese Tony Troisi, che si proclama innocente ed è pronto a ricorrere in appello.
Provato nello sguardo e nelle parole, il papà della 19enne parla davanti all’avvocato che ha difeso la figlia nel processo, la penalista di Avellino Biancamaria D’Agostino (nella foto) che tiene a precisare alcune cose, senza nascondere da donna l’aver dovuto constatare amaramente che finora nessuno ha speso una parola di sostegno o un pensiero di vicinanza ad una presunta vittima: «Il clamore mediatico successivo alla condanna del Troisi pare sia stato sinora focalizzato unicamente sui risvolti politici della vicenda, che invero nulla hanno a che vedere con la stessa. Questa vicenda non mi interessa minimamente, avrei preferito che mi venisse chiesto come sta ora la mia assistita, una ragazza poco più che adolescente all’epoca dei fatti, figlia di persone rispettabili di Atripalda. L’aspetto umano della vicenda, da parte di tutti coloro che a vario titolo hanno interloquito tramite i media sulla stessa, non ha trovato considerazione alcuna in nessuna sede, dove anzi è calato un assordante ed eloquente silenzio, e questo non fa onore ad una società che si assume civile e progredita». L’avvocato racconta che la ragazza doveva sostenere il giorno dopo un importante esame scritto di matematica all’Università «era concentrata sugli esercizi senza poter minimamente immaginare, e quindi prevenire, quello che sarebbe accaduto, senza sapere che la sua vita sarebbe purtroppo cambiata e che la spontanea allegria tipica della sua giovinezza sarebbe stata offuscata. Il mio impegno costante, dopo averla vista piangere ininterrottamente per ore, in questi due lunghi anni, è stato quello di incoraggiare la mia assistita a credere nella Giustizia e ad avere fiducia nel sopravvento della verità, sostenendola nei momenti di sconforto, quando si celebrava da parte della difesa dell’imputato, sia pur nel legittimo esercizio della stessa, il più classico degli stereotipi: la colpevolizzazione della vittima».
L’avvocato pone l’accento come la maggior parte dei reati sessuali non venga denunciata restando impuniti: «per un semplice motivo: si prova timore, anzi terrore,  a dover subire giudizi e pregiudizi distorti  da parte di coloro che a tutti i costi cercano di dare una giustificazione a quanto accaduto, una giustificazione favorevole all’autore della violenza, anche quando una giustificazione non c’è mai. Quindi questo processo di colpevolizzazione della vittima la rende vittima una seconda volta. La mia assistita, nonostante la giovane età, è stata coraggiosa ad affrontare tutte queste vicissitudini e la mia più grande soddisfazione è stata quella di averle potuto dimostrare che il suo coraggio è stato finora riconosciuto e che la sua sofferenza forse sarà servita ad infondere coraggio e fiducia nella Giustizia anche per altre donne che hanno subito esperienze analoghe. Quindi concludo con un invito: parliamo di più delle vittime e non solo dei  presunti colpevoli».
Due passaggi infine il legale avellinese li riserva al processo: «le sentenze vanno rispettate anche se non se ne condivide il contenuto e i processi si celebrano nelle aule di giustizia, non attraverso i media né sui social. Dissento dalle esternazioni mediatiche  di chi ha voluto attribuire ad un’asserita  “fretta” nella celebrazione del dibattimento un esito sfavorevole all’imputato. Mi meraviglia il paradosso che piuttosto che lamentarsi delle frequenti lungaggini processuali ci si dolga dell’efficienza di un procedimento di primo grado che in tempi non esasperatamente lunghi  ha garantito comunque appieno a tutte le parti processuali il pieno esercizio del proprio ruolo nel rispetto di tutte le regole processuali» e sulla lista dei testimoni tagliata: «Se il Troisi non è stato sentito è unicamente perché per ben due volte, in due distinte udienze, ha deciso di non comparire dinanzi al collegio, senza giustificato motivo;  se un teste dell’accusa non è stato ascoltato è perché la sua testimonianza è stata ritenuta superflua, così come per le stesse motivazioni di superfluità non sono stati sentiti tre testi indicati dalla parte civile».

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