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Morte Simone Casillo, la sorella scrive al Ministro della Difesa Trenta: “ucciso dalla contaminazione di uranio impoverito. Siamo stati lasciati soli”

Pubblicato in data: 19/1/2019 alle ore:13:00 • Categoria: Attualità

«Mio fratello Simone è morto a causa dell’uranio impoverito. In tutti questi anni siamo stati lasciati soli e l’Esercito ci ha ostacolato». La sorella del militare atripaldese morto nel giugno del 2006 a soli 23 anni e a cui è intitolato il centro Polifunzionale di via Salvi ad Atripalda, è pronta a scrivere al ministro della Difesa  affinché venga fatta chiarezza e resa giustizia alle vittime dell’uranio impoverito.  «Gentilissimo Ministro Trenta, la ringrazio dell’apertura che sta facendo verso i nostri eroi, verso quegli uomini e quelle donne che hanno sacrificato, anche se in modo diverso, la loro vita nel nome dell’Italia – è l’appello che Mafalda Casillo (nella foto con Simone il giorno del suo matrimonio) vorrebbe lanciare al massimo esponente della Difesa -. I nostri eroi silenziosi sono coloro che, con il massimo rispetto e onore per coloro che lo sono stati, non sono stati colpiti da proiettili nemici o da vigliacche mine sparse sulla strada dove loro portavano aiuti. No i nostri eroi sono morti nelle loro case, avvolti dal calore della famiglia, ma tra grandi sofferenze e indifferenze da parte dell’Esercito. Un silenzio assordante. Sono vittime di un nemico vigliacco, un nemico che li ha dilaniati dall’interno del proprio corpo,trasformandoli ogni giorno. I nostri eroi sono gli uomini e le donne che sono morti a causa dell’uranio impoverito, ma non solo, molti di loro sono anche vittime dell’omertà, di tanti, di molti».
Mafalda sta portando avanti da mesi la propria battaglia «ma ci siamo sempre dovuti scontrare con un muro di gomma». Ora grazie all’Osservatorio Militare, con il responsabile dottor Domenico Leggiero, che si è interessato al caso ed è pronto a dare battaglia giudiziaria con l’avvocato Angelo Fiore Tartaglia, si è accesa una speranza. L’Osservatorio ha infatti richiesto alla famiglia la prima biopsia effettuata su un tessuto del corpo di Simone all’ospedale Cardarelli «Un plico che urla giustizia – spiega Mafalda -. Un’analisi biomedica accerterà se ci sono particelle di uranio nella massa tumorale, come tutti quanti noi sappiamo che ci sono».

Pochi giorni fa la sorella aveva inviato anche una lettera alla rivista “Difesa online” raccontando il calvario vissuto dopo la scoperta della malattia dal fratello che aveva prestato servizio al 9° Reggimento Fanteria, Brigata Pinerolo, presso la caserma  “Lolli Ghetti” di Trani, dove a quei tempi vi erano mezzi e materiale proveniente dai Balcani. «Simone addetto al centralino viveva vicino al rimessaggio di questi mezzi –scrive la sorella -. Dopo un anno fece le selezioni per passare in polizia da quel giorno è iniziato il nostro incubo. Durante le visite gli fu riscontrata una macchia ai polmoni, un Linfoma di Hodgkin al 4 stadio al Mediastino. In quel periodo, per quanto brutta la notizia, ci aggrappammo alla speranza che non fosse un tumore incurabile. Simone comunicò ai suoi superiori la diagnosi poi confermata dall’ufficiale medico dell’ospedale militare di Caserta. Il chirurgo che operò mio fratello all’epoca ci parlò per primo della possibilità di essere entrato in contatto con materiale radioattivo, siccome la posizione del Linfoma era particolare, sentì per la prima volta l’Uranio impoverito. Simone faceva chemioterapie e radioterapie, ogni tot giorni si doveva presentare in caserma, rimanerci per una giornata e poi ritornare a casa, tutto questo per un anno e mezzo. Infine fu richiamato in caserma e congedato per malattia, come se fosse un pezzo difettoso. Da allora per l’Esercito è come se non fosse esistito più. Oggi chiedo giustizia e verità».

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