venerd� 29 marzo 2024
Flash news:   Nuovo cartello d’ingresso alla villa comunale “don Giuseppe Diana” La Scandone Avellino cade a Messina DelFes, il nuovo presidente è Giuseppe Lombardi Sabato sera lupi in campo contro Picerno Inchiesta appalti al Comune di Avellino, il sindaco Gianluca Festa si dimette Domenica delle Palme, tanti fedeli per la benedizione e la Commemorazione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Foto “Ogni donna” racconti di successi e rinascite L’avvocato Lenzi nuovo Amministratore Unico dell’Alto Calore “Scuole Sicure”, nuove telecamere nei pressi della media Masi Il Consiglio comunale di Atripalda conferirà la cittadinanza onoraria al professore Sabino Cassese

Paris ed i giovani turchi sfidano Renzi con un piano del lavoro alternativo

Pubblicato in data: 28/12/2013 alle ore:12:13 • Categoria: Partito Democratico, Politica

valentina-paris1Quattro esponenti dell’ala sinistra del Partito Democratico, tra cui l’irpina Valentina Paris (foto), hanno deciso di giocare d’anticipo su Matteo Renzi illustrando sulle colonne della rivista Left Wing le loro idee su un piano del lavoro alternativo a quello preannunciato nei giorni scorsi dal segretario del Pd. Insieme alla deputata atripaldese, nel lungo articolo ripreso dalle principali testate nazionali, i parlamentari Matteo Orfini, Fausto Raciti, Chiara Gribaudo hanno messo nero su bianco la loro controproposta di Job Act, criticando alcune misure messe in campo dal governo Letta con la legge di stabilità, tra cui quella sul cuneo fiscale, che “a causa della scarsità delle risorse impegnate, non avrà l’effetto sperato nemmeno sul ciclo dei consumi: chi si ritroverà qualche euro in più in busta paga, verosimilmente, più che spenderlo lo metterà a risparmio”.
I quattro “giovani turchi” sono convinti che agire sulle regole del mercato del lavoro e sulla formazione non basterà a creare nuovi posti di lavoro. “La maggior flessibilità – scrivono – alla lunga non ha prodotto maggiore occupazione e ha aumentato lo svantaggio relativo dei giovani rispetto agli adulti in termini di tasso di disoccupazione”. Inoltre “la tesi tuttora in voga secondo cui un lavoro precario sarebbe meglio di nessun lavoro, perché una volta dentro il mercato diventa più facile passare a impieghi più stabili, è smentita da quasi tutte le ricerche più recenti: quanto più si passa da un lavoro atipico all’altro, tanto maggiori diventano le probabilità che scatti la cosiddetta “trappola della precarietà”, ovvero la permanenza in uno stato di discontinuità lavorativa. Paradossalmente la scelta di aspettare l’occasione di un buon lavoro standosene al riparo del guscio familiare può essere di gran lunga più fruttuosa della scelta di accettare qualunque lavoro”.

Un altro aspetto è quello del contratto di inserimento a tempo indeterminato, che “se da una lato va nella direzione giusta, dall’altro lascia almeno due fronti aperti. In primo luogo, quello che sarebbe il vero vantaggio per le imprese, cioè la copertura statale dei contributi per i primi tre anni, non risolve il pericolo di ricircolo dei lavoratori, che anzi potrebbe riproporsi in nuove forme. Va per questo riaffermato con forza che l’obiettivo, unico antidoto alla precarietà, deve essere la definitiva stabilizzazione, che può anche seguire un periodo di prova lungo, ma deve essere resa comparabilmente più vantaggiosa per l’impresa rispetto alla sua sostituzione con una nuova assunzione nel corso del triennio (ad esempio attraverso un credito di imposta o altri meccanismi premiali); facendo il ragionamento inverso, l’assunzione di nuovi candidati in prova potrebbe al contrario essere vincolata alla stabilizzazione di almeno una parte di quelli precedenti. Se il vero incentivo arrivasse con la stabilizzazione (o con la sua conferma o con il suo mancato ritiro, se si intendesse anticiparne gli effetti con valenza anticiclica), invece che all’origine del rapporto di lavoro, il ricorso stesso al licenziamento ne risulterebbe scoraggiato”.

Altro capitolo su cui si soffermano i quattro parlamentari è l’indennità di disoccupazione che, nelle intenzioni di Renzi, “dovrebbe riassorbire altri ammortizzatori sociali, a cominciare dalla cassa integrazione in deroga. Desta un certo stupore che si immagini di sostituire quelli attuali con un sussidio di disoccupazione universale a parità di risorse”. Per Orfini e gli altri sarebbe meglio investire le risorse che ci sono sulla creazione di post di lavoro piuttosto che che sul sussidio che ha in mente Renzi. “Per quanto riguarda l’enfasi posta sulla formazione, la domanda è: formazione per fare cosa? Le parti datoriali, per spiegare le difficoltà ad assumere, scrivono ormai in ogni rapporto di ostacoli, dal loro punto di vista, di over-education e di scarsa corrispondenza fra studi e competenze richieste. Una formazione, tanto più obbligatoria, che non si incardini in un aggiornamento complessivo del contenuto del lavoro, rischia di essere solo la riproposizione dell’attuale sistema, contribuendo a mantenere competenze – e salario – schiacciati verso il basso”.

Un ulteriore punto riguarda i Centri pubblici per l’impiego: “È giusto parlare di potenziamento dei CPI soprattutto in questo senso: se si intervenisse solo con un aumento degli impiegati, proseguirebbe solo quell’inganno secondo cui il nostro problema sta essenzialmente nella difficoltà quantitativa di incontro tra domanda e offerta, piuttosto che nella loro qualità. In questo senso vanno impostati anche gli interventi che deriveranno dall’attuazione della Youth Guarantee europea che possono diventare anche l’occasione di una effettiva riforma e di implemento del nostro Servizio civile. Non nel senso della sua trasformazione, come sembra prevedere il job act, in servizio obbligatorio, ma come nuova forma di ingresso nel mondo del lavoro, profit e non-profit, attraverso il riconoscimento delle competenze che una simile esperienza puo’ generare. Così da diventare modello di inserimento lavorativo e forma ragionevole di reddito di inserimento”.

Per i “giovani turchi” il Job Act annunciato da Matteo Renzi “rischia di cadere nello stesso errore di molti interventi che lo hanno preceduto, per ultimo quello firmato da Elsa Fornero, cioè di camminare sulla testa dei meccanismi che regolano il mercato del lavoro (i contratti), anziché sulle gambe della crescita e così facendo di essere, nella migliore delle ipotesi, inutile. I passi avanti nel contrasto alla precarietà che pure potrebbero essere prodotti dal contratto d’inserimento, rischiano di essere resi assai parziali dal progressivo ulteriore restringimento della platea degli occupati. Se invece davvero vogliamo provare a uscire da una situazione drammatica, è bene innanzitutto liberarci dalle stanche dicotomie garantiti vs non garantiti, padri vs figli esse vogliamo trasformare la precarietà in flessibilità bisogna ragionare su come universalizzare almeno alcuni diritti, stabilire che ogni tipologia contrattuale debba prevedere la copertura per malattia e maternità, a prescindere dalla durata e dalla retribuzione. Una misura che avrebbe un effetto immediato e concreto sulla vita di milioni persone. L’aumento conseguente del costo dei contratti precari, che a regime è persino auspicabile così da rendere meno conveniente il ricorso a queste tipologie contrattuali, potrebbe essere mitigato nella fase di transizione da interventi di sostegno. Parallelamente a una misura del genere, occorrerebbe immaginare strumenti che garantiscano dal rischio che – come avvenuto in situazioni analoghe – l’aumento dei costi per le imprese finisca per scaricarsi sulla busta paga del lavoratore. Da questo punto di vista si può valutare l’introduzione di un equo compenso per tutte quelle professioni non coperte da contrattazione collettiva, affiancato dalla possibilità di concertare con i sindacati, i cui sistemi di rappresentanza necessitano evidentemente di un ammodernamento, la possibilità di definire la retribuzione minima per professionalità omogenee, non su scala nazionale, ma su base territoriale”.

Nelle conclusioni c’è la ricetta degli esponenti democratici per il lavoro: “Occorre recuperare i margini per un piano di investimenti pubblici straordinari, da concentrare in settori strategici che generano un alto tasso di occupazione e un forte stimolo alla crescita (dalla cultura alla ricerca, dalla messa in sicurezza del suolo al turismo, dal terzo settore sociale alle infrastrutture digitali). Le opzioni per recuperare le risorse necessarie a finanziare il piano straordinario per l’occupazione sono due: agire sulla leva fiscale chiedendo un contributo maggiore a chi ha di più, oppure, rimanendo dentro il vincolo del 3 per cento nel rapporto deficit/pil, recuperare qualche decimale rispetto al 2,5% previsto per il 2014. Un job act che non potesse rivendicare un impatto positivo sul tasso di occupazione rischierebbe di essere un boomerang, per l’evidente ’spread’ tra attese generate e risultati ottenuti. Ma per creare lavoro occorre rompere le barriere ideologiche e superare i tabù che in questo ventennio hanno impedito di considerare quella degli investimenti pubblici diretti a generare occupazione una opzione possibile: nell’Italia di oggi è l’unica opzione possibile. Farlo vorrebbe dire “cambiare verso”. Ma per davvero”.

Print Friendly, PDF & Email
Ti È piaciuto questo articolo? Votalo adesso!


Non saranno pubblicati commenti offensivi, diffamanti o lesivi della dignità umana e professionale di amministratori, politici o semplici cittadini. La redazione di AtripaldaNews si riserva la possibilità di pubblicare solo parte del contenuto, procedendo a tagliare le frasi offensive. Invitiamo i nostri lettori, nel rispetto delle regole di una società civile, a firmare con nome e cognome i propri commenti.

8 risposte a “Paris ed i giovani turchi sfidano Renzi con un piano del lavoro alternativo”

  1. Giovanni ha detto:

    Grande Paris, mentre i “Pirro” nostrani festeggiano inizi a farti spazio sui giornali nazionali per le tue capacità. Orgoglio atripaldese!

  2. Max Deejay ha detto:

    Ottima analisi, ho letto l’articolo intero su Left Wing. Ora però cercate di entrare nel merito quando Renzi presenterà il suo Job Act, senza conflitti violenti possibilmente, solo così potrete risolvere buona parte delle storture del mondo del lavoro. Stavolta, e forse è l’ultima, mi voglio fidare di voi.

  3. atripaldese ha detto:

    esisti.
    vedremo con il nuovo sistema elettorale le tue grandi capacità.
    unica la critica verso gli altri.
    mancano le proposte.

  4. Vendetta ha detto:

    DOVE SONO I CRITICONI DI SEMPRE?? LA PARIS NON FA NIENTE.. LA PARIS COSA FA.. BLA BLA BLA…
    BRAVA VALE…

  5. Francesco ha detto:

    Per qualcuno è già iniziata la campagna elettorale. “Purtroppo” si voterà con le preferenze.

  6. bleck ha detto:

    Ma chi è questa Paris. Io sono di Atripalda e non l’ho mai vista ne sentita. Scomparirà anche lei con la nuova legge elettorale ( con le preferenze ).

  7. Nappo Carmela ha detto:

    Cari ragazzi anche io penso che la prossima volta si voterà con le preferenze caro bleck e si vedrà se la paris uscirà

  8. errico ha detto:

    Giustamente con stipendi favolosi, privilegi in numero strepitoso, abitazioni a Roma e perdita di tempo per i 2/3 dell’attività, la politica non è più un servizio reso ai cittadini, ma uno spadroneggiamento (spesso sottoculturale) che i più furbi (tra cui la Paris) operano al di sopra di chi, nella migliore delle ipotesi, vive con 1000 euro al mese, una casuppola e un piatto di pasta. CHE ME NE IMPORTA DI QUELLO CHE PENSI CONTRO RENZI ASSIEME AI TUOI SIMILI? IO VOGLIO CHE TU FACCIA QUALCOSA PER L’IRPINIA, CHE E’ SPROFONDATA ULTIMA NELLE CLASSIFICHE PER IL TENORE DI VITA! PARIS, TU E TUTTI I TUOI COLLEGHI (in particolare del pd, ma anche di altri) SCE’TATEVI!!!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *