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“Passato e presente: la memoria militante” presentata l’antologia in ricordo di Biagio Venezia. FOTO

Pubblicato in data: 6/6/2015 alle ore:11:30 • Categoria: Cultura

Antologia Biagio Venezia 1Biagio Venezia – Passato e presente: la memoria militante” presentata venerdì scorso nell’ambito della manifestazione culturale “Il libro in fiera” l’antologia dedicata alla figura di Biagio Venezia. L’occasione è stata offerta dal primo anniversario della scomparsa del 65enne ex ferroviere con la passione per la storia, la cultura e la fotografia a cui è stata intitolata anche la sede della Spi-Cgil di Avellino.
All’incontro, svoltosi presso la Dogana dei Grani, hanno preso parte la figlia Antonella, in rappresentanza della famiglia,  il giornalista Antonio Zollo, già direttore editoriale de “l’Unità”, il sindacalista Pietro Mitrione,  il professore Raffaele La Sala e Gianluca Roccasecca direttore de “Il Sabato” che ne ha curato la selezione di articoli scritti per il settimanale.
Antologia Biagio Venezia 2

Di seguito il ricordo del direttore Antonio Zollo:

Biagio ha viaggiato per l’intera sua vita “in direzione ostinata e contraria”, per citare il verso di uno dei testi (“Smisurata preghiera”: “Ricorda Signore questi servi disubbidienti…”) più densi e struggenti di Fabrizio de André. Sì, Biagio era ostinato, tenace, caparbio e metteva sempre a dura prova i suoi interlocutori. Ma in questo consisteva la sua maggiore virtù. Ed egli l’ha praticata con implacabile determinazione, imponendo innanzitutto a se stesso un rigore persino ossessivo. Di umili origini, di una generazione che ha conosciuto gli stenti e le privazioni crudeli del dopoguerra, Biagio ha fatto la scelta – tutt’altro che facile, soprattutto nel Mezzogiorno, in quei tempi – di accettare i propri doveri e di rivendicare i propri diritti: senza cedere ai compromessi, rifiutando la rassegnazione, la pratica di dover chiedere con il cappello in mano, il dover implorare come atto di benevolenza o mercanteggiare quel che invece è garantito dalla Costituzione nei suoi principi fondanti: il diritto allo studio, al lavoro, alla sanità, alla cultura. Nella nostra Carta, al contrario di quella americana, non è sancito il diritto alla felicità; ma quello alla dignità sì, per essere non sudditi ma cittadini. A questa convinzione, a questo modo di essere Biagio si è avvinghiato con feroce determinazione, in un defatigante braccio di ferro con persone e strutture ancora pervase dalla cultura dell’accomodamento, della furbizia, della funzione pubblica svolta come potere abusivo e debordante; ma anche con chi, pur amico, magari gli diceva che sì, “Biagio hai ragione, però…”. Era un “però” per lui inaccettabile. Ha conosciuto, per questo, molte sconfitte e moltissime incomprensioni, ma la sua battaglia l’ha vinta. L’ha vinta per sé, per la sua famiglia: la moglie Assunta, le figlie Antonella, Rossella e Simona, che saranno sempre fiere e orgogliose di lui, così come lui lo era di loro. L’ha vinta per noi, suoi amici, che ne condividevamo le idee ma con minore determinazione, perché è stato la nostra coscienza critica, l’argine contro il rischio di lasciarsi andare, smarrendo magari inconsapevolmente la bussola della giusta direzione. E mi viene da aggiungere che anche chi si è illuso di averlo vinto, in verità ha perso, coinvolgendo in questa sconfitta l’intera comunità. Come nel caso di coloro che non condivisero, ostacolarono o avversarono l’impegno di Biagio per il verde pubblico, la tutela dell’ambiente. Le essenze della Villa comunale, i lecci di piazza Umberto I, quel che resta dell’oasi verde di piazza Orta sono l’impronta che Biagio ha lasciato in città, la prova di quel che si poteva e si doveva fare e che non si è fatto per rendere questa città più bella, più accogliente, più vivibile.
Antologia Biagio Venezia 3Un uomo così consapevole dei suoi diritti di cittadinanza non poteva non avere passioni forti. In primo luogo per la propria formazione culturale. Straordinario autodidatta, Biagio ha impersonato in maniera esemplare il modello gramsciano dell’uomo che si arma della conoscenza come strumento di riscatto sociale e civile, come a dire: “Non contate sulla mia ignoranza per fermarmi o negarmi quel che mi spetta di diritto”. Di qui il suo amore per la scrittura giornalistica, impegnata sempre – come testimonia questa raccolta di scritti – sui temi civili e sempre “in direzione ostinata e contraria”; per le tradizioni e la storia di Atripalda e dell’Irpinia e dei suoi protagonisti, noti e meno noti; in particolare, di coloro che si sono battuti in tempi e condizioni terribili per l’emancipazione delle classi più diseredate. Da ultimo, la fotografia: migliaia di immagini che ritraggono eventi, personaggi, luoghi; forse il più ricco, bello e completo colpo d’occhio sull’Irpinia di questi anni.
Non era, il suo, lo sterile nostalgismo di chi si appallottola nel passato per non misurarsi con il presente e sottrarsi alle sfide del futuro; era la rivendicazione dei valori condivisi che danno senso e anima ad una comunità coesa e partecipe. Perché stupirsi, dunque, se amava le tradizionali feste patronali, quanto più si mantenevano fedeli al loro vecchio impianto, senza derive modaiole? E amava le vecchie, care bande, che hanno fatto la cultura musicale di intere generazioni di nostri nonni e padri, soprattutto nelle aree (vaste) di diffusa povertà e analfabetismo, per di più prive di strutture teatrali diffuse sul territorio. A ragione, Biagio deprecava l’insensibilità di istituzioni e comitati, che – tranne poche eccezioni – non si sono curati di dedicare spazi riservati ai concerti bandistici, dove fare e ascoltare musica al riparo dei frastuoni della festa e del traffico. Infine, i fuochi d’artificio. Molti non li amano, li considerano uno spreco assurdo di danaro. Rispetto queste opinioni, riconosco loro un fondamento. Ma chi ama i fuochi come li amava Biagio non conosce ostacoli, travolge ogni ragione contraria. Ricordo le poche volte che mi convinse a visitare l’area dove gli artificieri approntavano mortai e bombe per l’esibizione notturna. Dissimulavo a stento una certa inquietudine e il mio timore per quel girovagare tra micce ed esplosivi e, tuttavia, non osavo sollecitarlo ad andarcene. Chiedeva, interrogava, spiegava il lavoro degli operai, l’allineamento dei mortai, le bombe da tiro, la trama dei finali. Sicché, quando penso a lui, il ricordo che più mi torna in mente è quello di una notte mite e limpida della nostra gioventù, quando con il comune amico Dante il nostro vagabondare ci portò in una località che oggi fatico a individuare: una sorta di terrazza naturale che si affacciava su una valle sottostante, nella quale si vedeva un presepe di paesi. Un ricordo o un sogno? Non importa. C’erano echi lontani di bande e all’improvviso, sotto di noi, fu un fiorire di figurazioni e colori, seguiti a distanza di tempo dal rumore ovattato degli scoppi. Credo proprio che non sia possibile, ma se mi fosse concesso di rivederlo è in un posto come quello che vorrei incontrare di nuovo Biagio. Già mi pare di sentirlo il brontolone: stasera il flicorno di Gioia del Colle è un po’ così, questo fuochista esagera con il tritolo… Per fortuna c’è la busta con le birre e i panini preparati da Assunta, che saggiamente questa volta se ne è rimasta a casa. E tanta pace intorno a noi.

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