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Emergenze locali e prospettive future, la nota di Lucio Garofalo

Pubblicato in data: 7/7/2010 alle ore:09:19 • Categoria: Attualità

irpiniaNon si può più ignorare che la società irpina stia accusando gravi disagi derivanti da una serie di emergenze locali, a cominciare da una inarrestabile riduzione demografica che provoca un invecchiamento progressivo dei nostri paesi, tranne rare ed isolate eccezioni che procedono in controtendenza grazie al flusso di lavoratori forestieri ed immigrati. 
Parallelamente al calo demografico, negli ultimi anni si è manifestato un drammatico fenomeno di “spaesamento”, cioè di atomizzazione sociale dei nostri paesi, che è la conseguenza più atroce ed assurda di una modernizzazione selvaggia che ha innescato un processo di imbarbarimento e mercificazione dei rapporti umani, improntati ad un disvalore dominante, il profitto economico, quale unico scopo e unico modello di vita imposto alle giovani generazioni. In tal modo, quelle che erano comunità a misura d’uomo, compatte e solidali per natura e necessità, negli ultimi anni hanno assunto un aspetto sempre più disumano e desolante. Spaesamento e spopolamento crescente sono due tendenze negative che hanno inciso e pesato sulla storia recente delle nostre zone.
Inoltre, negli ultimi anni si sono aggravate altre situazioni critiche, come la questione ambientale, quella sanitaria e quella scolastica. Tali emergenze si intrecciano e si inquadrano in un contesto più ampio di deriva antidemocratica del tessuto civile, un processo involutivo favorito dalla recessione economica internazionale, i cui effetti più dolorosi si ripercuotono sulle aree depresse del Mezzogiorno, inclusa la nostra provincia. 
Diversi indicatori segnalano un impoverimento crescente del tenore di vita delle famiglie colpite dalla povertà e dalla precarietà materiale nelle nostre zone. L’Istat rivela che il 22% della popolazione meridionale giace sotto la soglia di povertà. In Irpinia la percentuale della popolazione povera si attesta oltre il 20%. Ma la piaga più dolorosa che offende l’Irpinia è la disoccupazione, la mancanza di speranze e prospettive per l’avvenire dei giovani. La disoccupazione è una vera tragedia collettiva in quanto produce effetti di emarginazione, genera contrasti laceranti che squarciano e indeboliscono il tessuto della convivenza civile, esponendo i soggetti più deboli e indifesi al ricatto clientelare e riducendo gli spazi di libertà, legalità e agibilità democratica.
Il tasso della disoccupazione si aggira intorno al 52%. Ciò significa che in provincia di Avellino almeno un giovane su due è disoccupato. Inoltre, il numero dei disoccupati oltre la soglia dei 30 anni è in costante aumento. Assai elevato è anche il numero dei disoccupati ultraquarantenni, che nutrono pochissime speranze di reinserimento nel mondo del lavoro. Nel contempo in Irpinia si diffondono in misura crescente i rapporti di lavoro precari, a nero o a grigio, specie nella fascia di giovani alla prima occupazione. 
E’ dunque inevitabile che i giovani delle nostre zone decidano di emigrare per cercare fortuna altrove, lontano dal luogo nativo. In molti casi senza fare più ritorno nella terra d’origine. Il problema dell’emigrazione intellettuale è la sciagura peggiore per le nostre comunità, poiché queste sono costrette a privarsi dei figli più validi e capaci, quindi delle risorse più preziose. Questa nuova emigrazione si presenta in modo diverso rispetto al passato, trattandosi di una fuga in massa di cervelli, di un’emigrazione intellettuale. Infatti, i giovani più intelligenti e preparati fuggono dal posto in cui sono nati, cresciuti e dove hanno studiato, poiché non intendono (giustamente) sottostare al ricatto imposto dai notabili locali che li obbligano a mendicare un lavoro che è un diritto inalienabile di ogni cittadino, in cambio del voto, della libertà e della dignità personale. 
Di fronte a queste strazianti sofferenze di una parte consistente della nostra società, nemmeno tanto nascosta, è lecito chiedersi quali sarebbero le prospettive sociali e politiche, le forze materiali che potrebbero farsi artefici di un reale rinnovamento in Irpinia. Non certo gli epigoni e gli eredi del post-demitismo, riciclatisi ovunque, né gli esponenti locali del berlusconismo, o i “campioni esemplari” del cripto-fascismo e le correnti del leghismo “sudista”. Da tempo è in corso una profonda contro-rivoluzione di destra mossa da spinte ideologiche eterogenee: un fenomeno politico e culturale rozzo e demagogico, autoritario e sovversivo (mi riferisco al “sovversivismo delle classi dirigenti” di cui parlava Gramsci), che è egemone e radicato in vasti settori della nostra società. 
Si tratta di una sottocultura dominante, non solo perché è al governo della nazione, ma perché è insita nella mentalità comune, negli stereotipi della gente. Un’ideologia intrisa di venature antioperaie e antidemocratiche, alimentata da un populismo isterico e brutale, ispirata da un acceso liberismo in campo economico. Un “liberismo” più di facciata che di sostanza, nel senso che sono “liberisti” a corrente alterna, in base alle convenienze. Per cui sono “antiliberisti”, “protezionisti” e “statalisti” quando si vuole spremere le finanze dello Stato. Come puntualmente accade nell’odierna fase recessiva. 
Tornando al quesito originario – quali sono i soggetti reali del rinnovamento in Irpinia? – si potrebbe rispondere provando a resuscitare le speranze latenti di rinascita della gente irpina. D’altronde, io credo nel progresso e nell’emancipazione sociale, non nello sviluppo, soprattutto non credo in quel modello di sviluppo irrazionale, sfrenato e senza regole prodotto da una globalizzazione feroce e ultraliberista. Mi ritengo un intellettuale marxista, per cui cerco di indagare e descrivere marxisticamente la realtà del mio tempo, con lucidità e onestà intellettuale. Il compito di un intellettuale comunista è anzitutto quello di provare ad enucleare la società odierna, profondamente malata a causa di uno sviluppo alienante e corrotto, una democrazia ipocrita, un benessere incivile e grossolano, uno stile di vita artefatto e fittizio, esclusivamente consumistico. 
Il ruolo di un intellettuale comunista è altresì quello di analizzare e comprendere un sistema efficace per migliorare le cose, impegnandosi in prima persona nella progettazione e costruzione di un avvenire migliore per le giovani generazioni, insieme con gli altri soggetti realmente antagonisti e progressisti, attraverso un’azione politica condivisa e finalizzata ad un rinnovamento radicale della società irpina. La quale è ancora soggiAggiungi un appuntamento per oggiogata da una casta politica ormai vecchia ed incancrenita, che si ostina a governare applicando metodi antiquati, alla stregua del celebre “Gattopardo”, convinto che tutto debba cambiare affinché nulla cambi e tutto resti come prima.
Dunque, non basta interpretare il mondo, c’è bisogno di uno sforzo ulteriore per cercare di conoscere e concretizzare un’ipotesi di società migliore. Tuttavia, da solo l’intellettuale è impotente, per cui deve agire direttamente, rapportandosi alle forze sociali che lottano materialmente per il progresso nel momento storico presente. In questo modo le speranze diffuse di riscatto possono tradursi in una proposta comune di trasformazione palingenetica della società, da promuovere politicamente, con forme e strumenti di lotta condivisi insieme ai soggetti effettivamente interessati al progetto. 
La storia ci insegna che le rivoluzioni sociali sono opera delle classi subalterne, delle masse popolari organizzate con intelligenza e sapienza. I veri protagonisti del progresso storico sono le forze produttive, le persone in carne ed ossa riunite ed organizzate politicamente, per cui si riconferma una verità storica, cioè che il protagonismo politico delle masse popolari, quando è sorretto da giuste idee e ragioni, è difficile da ridurre all’impotenza. Un simile compito spetta tuttora al lavoro produttivo, alla classe dei salariati, al proletariato di fabbrica sfruttato e malpagato, sempre più precarizzato ed emarginato dalla sfera del potere economico e politico decisionale. Una classe operaia composta in misura crescente da lavoratori extracomunitari e che in Irpinia conosce percentuali elevate e inquietanti di omicidi bianchi, di cui nessuno osa parlare.
In Irpinia i lavoratori salariati sono endemicamente sudditi e ricattabili, asserviti ai notabili locali dato che le assunzioni in fabbrica sono stabilite in base a criteri ormai superati di stampo clientelare. Ragion per cui è lecito chiedersi a chi spetterebbe il ruolo della lotta e del cambiamento locale all’interno di una fase di transizione storica globale verso un’epoca segnata da crisi, disordini e sconvolgimenti profondi e duraturi.
Sono convinto dell’urgenza di affrancarsi dal giogo micidiale e soffocante del fatalismo, della rassegnazione e dell’indifferenza, che sono il peggior nemico della nostra gente, in quanto tali sentimenti inducono a credere che nulla possa cambiare e tutto sia già sancito da una sorta di destino superiore, una forza trascendente contro cui le masse sarebbero impotenti. Al contrario, l’esperienza storica attesta che le cose possono migliorare grazie ad iniziative giuste, audaci e concrete, ma occorre anzitutto volerlo.

Lucio Garofalo

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