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Natale, il messaggio del vescovo di Avellino Arturo Aiello: “Restiamo in trincea ma con la speranza che tutto è già vinto e redento”

Pubblicato in data: 26/12/2020 alle ore:19:57 • Categoria: Attualità

“Cadute le stelle, cadute le rose/ nel vento che porta il Natale” Così Alfonso Gatto conclude una sua poesia sul Natale pubblicata nel 1950 ambientata a Venezia dove “il fischio del battello che sparve/ nel largo delle campane” fa svanire la sirena nel dondolare delle campane che riempiono l’aria su “un triste davanzale”. Non hanno nulla di religioso, in senso stretto, i versi del poeta che titola “Natale al caffè Florian”, ma sono imbevuti di nostalgia forse per i natali passati, per il suono delle campane che nelle liriche di Pascoli sempre indulgono al pianto “sul far della sera”, per il davanzale che Ungaretti chiama in in una sua poesia di soli tre versi “balaustrata di brezza” su cui poggiare una sera difficile. Anche il nostro è un Natale senza stelle e senza rose, ridotto all’osso, svestito di ogni luccichio che possa attirare la nostra attenzione, prosciugato di ogni mondanità come un fossile che racconti di fondali e stelle marine in alta montagna. Quest’anno Natale si fa in trincea come i ragazzi dell’89 chiamati al fronte alla fine della grande guerra con ancora sul volto la peluria dell’adolescenza, come i centomila che, meno gloriosamente, vissero la Notte di Natale e la loro ultima notte, nella seconda guerra mondiale, in una ritirata nel gelo della tundra, abbandonati a se stessi, come pecore senza pastore, che vedevano la soglia di casa come un miraggio prima che il freddo li prendesse al cuore. È un natale in trincea come quello di quarant’anni fa in Irpinia nei campi che prendevano nomi di città italiane che erano venute in soccorso alla nostra indigenza. Ora non ci sono aiuti perché la trincea è grande quanto il mondo e non si può neppure uscire incontro al nemico gettando i fucili come nella grande guerra accadde, nella notte di Natale, sulle montagne del trentino dove i soldati di opposte fazioni si scambiavano sigarette e cioccolata preoccupando i ministri della guerra che vedevano un “cessate il fuoco” deciso dalla base. Anche stanotte il nemico senza volto può colpire, non c’è tregua neppure per Natale, la trincea non conosce sospensione neppure nel giorno santo in cui viene al mondo Dio stesso in un Bambino. Nei reparti Covid la paura non sembra attenuarsi neppure stanotte e gli angeli-infermieri sono attenti ai bip dei monitor più dei pastori alla voce degli angeli che a cascate vennero a cantare la pace. “Cadute le stelle, cadute le rose” scrive Gatto (Salerno 1909- Grosseto 1976) nel racconto di un Natale senza luci e senza poesia, forse le stelle sono quelle della fede e le rose quelle della cultura. Sembra tutto tramontato nella sera dove l’istinto di sopravvivenza sembra avere il sopravvento ed anche i vapori sono “arrugginiti”. Eppure ancora soffia il vento sul triste davanzale del poeta, un vento impertinente, mai rassegnato, potente: “nel vento che porta il Natale”. Il maiuscolo nel testo ci fa sperare che l’assenza di stelle e di rose non impedisca l’adesione al Mistero, il vento non è rassegnato, non porta il contagio dei nostri abbracci negati, ma l’annuncio di una Compagnia che resta nonostante tutti i drammi. È la dolce compagnia di Dio fatto Bambino che visita e conforta stanotte tanti anziani soli, tanti amanti divisi, genitori e figli in case diverse, bambini che non sanno darsi ragione dell’assenza dei cuginetti con cui fare mille scorribande di fantasia in giochi improvvisati. Mentre imperversa la tempesta “in Casa Cupiello” e le passioni vengono a ridurre in cocci la famiglia e il presepe, Lucariello, apparentemente estraneo e estraniato a ciò che si consuma in casa sua, continua imperterrito ad allestire (Poeta? Contemplativo? Bambino?) il suo presepe e a mostrarlo estasiato a chi è preso da altri livelli di realtà. Tu dove vuoi essere in questo Natale? Negli aggressori che ti iniettano l’ennesima dose di bollettini di guerra e di previsioni nefaste che aumentano la paura in maniera esponenziale, o nello sguardo colmo di stupore di chi ha appena comprato le statuine di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre? Fermati a guardare: “è bello ‘o presepio!”. Sì, nel dramma, resta bella questa nostra umanità piagata e costretta a guardare questo Natale da “un triste davanzale” perché Dio non è più lontano e va denunciato perché non rispetta le distanze e ti bacia sulla bocca. Si chiama… Salvezza. Restiamo in trincea e soffriamo tutti l’assenza di rose e di stelle, ma con la speranza che tutto è già vinto e redento “nel vento che porta il Natale”.

Arturo Aiello
vescovo di Avellino

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